Ciò che la fotografia riproduce all'infinito ha avuto luogo solo una volta: essa ripete meccanicamente ciò che non potrà mai ripetersi esistenzialmente." (Roland Barthes, La camera chiara)
La Camera Chiara è il titolo dell'ultimo saggio del semiologo francese Roland Barthes ed è un piccolo grande libro sulla fotografia (1980).
Una fotografia non può essere trasformata filosoficamente, essa è interamente gravata dalla contingenza di cui è l'involucro trasparente e leggero.
Le foto che interessano Roland Barthes sono quelle davanti alle quali egli prova piacere o emozione. Non tiene conto delle regole di composizione d’un paesaggio.
Davanti a certe foto, si pone come un selvaggio, senza cultura. A partire dalle foto che ama, egli prova a formulare una filosofia. Non essendo fotografo, egli non ha a disposizione che due esperienze: quelle del soggetto visto e quelle del soggetto che vede.
Davanti all’obiettivo, egli è di volta in volta :- « colui che si crede,colui che vorrebbe che lo si creda, colui che il fotografo lo crede, colui del quale si serve per mostrare la propria arte ».
La fotografia stupisce Roland Barthes come se essa avesse il potere di far rivivere ciò che è stato. Essa non inventa (come può farlo ogni altro linguaggio), « essa è l’autenticazione stessa » « Ciò che si vede su carta è tanto sicuro come ciò che si tocca »
Il punctum di una fotografia è quella fatalità che di essa "mi punge", è quel punto particolare dell'immagine che scatena l'emozione e ciò che richiama la mia attenzione.
Dice Barthes: " Non appena ci sentiamo guardati dall'obbiettivo tutto cambia,ci mettiamo in atteggiamento di posa, fabbricandoci così un altro corpo, ci trasformiamo anticipatamente in immagine".
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